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Dominazioni
(di Pasquale Hamel, storico)

C’è un termine che sentiamo frequentemente ripetere quando ci soffermiamo a riflettere sulle vicende della nostra Sicilia, si tratta del vocabolo “dominazioni”; la storia dell’Isola si ridurrebbe dunque, secondo un accreditato luogo comune, ad un ripetersi di dominazioni accompagnate, spesso, da violenze che avrebbero impedito a questa terra di crescere dal punto di vista sociale ed economico. Ma, abbandonando gli stereotipi e guardando con distacco al tempo lungo delle vicende isolane ci si rende, però, conto che questa idea di “dominazioni” non regge e, a parte qualche caso limitato, si debba piuttosto parlare di storie di integrazione fra popoli e culture il cui arrivo nell’Isola è stato favorito dalla sua centralità mediterranea.
L’identità del popolo siciliano è figlia, infatti, di un forte e costante processo di implementazione direttamente correlato agli apporti che coloro che hanno raggiunto le sue spiagge hanno consegnato, come doni preziosi, alle genti isolane. Da ciò la necessità di una rilettura decisamente più corretta di una Sicilia, luogo della storia, che nel tempo è riuscita ad elaborare eccezionali espressioni di sincretismo culturale. Infatti, se percorrendo le contrade dell’Isola si ha la possibilità di godere di quanto di meglio le culture mediterranee hanno potuto esprimere questo è dovuto proprio al fatto che i popoli e le genti che hanno calpestato il suolo siciliano hanno lasciato le loro impronte profonde e che queste impronte sono spesso state contaminate con quanto già era presente e con quello che ci sarebbe stato.
Come è evidente, una dominazione in quanto tale si manifesta in termini di sopraffazione, integra quindi una componente violenta, che tende ad annullare la stessa identità delle popolazioni presenti nel luogo dominato a cominciare da quelli che ne sono i segni più evidenti cioè le tracce e le evidenze architettoniche presenti in un determinato territorio. Ebbene, salvo rarissime eccezioni, ciascuno dei cosiddetti dominatori non solo difficilmente ha violentato quanto già esprimeva il territorio stesso ma, addirittura, ne ha affinato le singole manifestazioni ed in qualche caso ha determinato il miracolo della nascita di nuove forme o di nuovi stili. Espressioni di multiculturalità, cioè di culture che stanno una accanto all’altra, senza mescolarsi, eppure armonicamente ed organicamente concorrenti ad un disegno unitario, come lo è lo stupefacente contenitore sacro che è la Cappella Palatina del Palazzo Reale di Palermo, o manifestazioni di sincretismo culturale come il Gotico-catalano presente in moltissimi edifici del XIV e XV secolo e, perfino, del XVI secolo, tutte apporto di committenze e maestranze di origine diversa, non rinviano sicuramente a memorie di popoli o genti che intendono sopraffare o dominare altre genti. Chi potrebbe immaginare i Greci che approdarono sulle coste isolane, costruendo città, innalzando templi agli dei, come dei dominatori? Chi penserebbe ai Romani, che fecero dell’Isola la prima provincia dell’impero e che elargirono il diritto di cittadinanza alle genti che l’abitavano, come sopraffattori? Chi penserebbe ai Normanni e agli Aragonesi, che hanno costruito l’identità politica, cioè lo Stato, gli uni e l’identità spirituale, cioè la nazione, gli altri come padroni o predoni? E gli Spagnoli che ereditarono il Regno dai Catalani e ne rispettarono l’autonomia istituzionale incarnata nella istituzione parlamentare, furono essi stessi padroni nel senso brutale del termine cioè sopraffattori? E giù da lì, fino ad arrivare ai piemontesi che ebbero il demerito di avere travolto le strutture autonomistiche, ma che certamente non furono colonizzatori o approfittatori come la dipinge certa superficiale letteratura minore. Aveva, dunque, ragione oppure torto il principe di Salina quando lamentava la stanchezza dei siciliani per l’essere stati, lo affermava lui, per duemilacinquecento anni colonia?
A leggere, al di là delle passioni e con rigore scientifico la storia della terra di Sicilia, straordinario scenario di civilizzazione, al gattopardo non si può che rispondere, responsabilmente, con un convinto “no” ! Ed allora, è necessario ripeterlo, ciascuno dei passaggi storici bisogna guardarlo non come sovrapposizione ma come apporto alla costruzione di un edificio complesso, quello appunto di questa Sicilia, sempre pronta a fare nuove esperienze, carica di memorie storiche, orgogliosa di possedere una fetta consistente del patrimonio culturale dell’umanità predisposta, in questo senso, tradizionalmente all’accoglienza.
Ecco dunque la cifra distintiva dell’identità siciliana, che è l’apertura, la capacità di solidarizzare, di rapportarsi con “l’altro”, chiunque esso sia e da ovunque esso arrivi, considerato che nell’altro più che il nemico, più che il diverso è usa vedere l’uomo, un proprio simile con il quale si devono condividere gioie e dolori e, soprattutto, costruire il futuro.

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