domenica 5 giugno 2016

Mattarella a Lampedusa

Il Presidente della Repubblica ha fatto visita all'Isola il 3 giugno 2016. Qui sotto il testo e il video del suo discorso in paese, dopo aver deposto una corona di fiori al monumento la "Porta d'Europa".

Signora Sindaco,
la ringrazio molto per questa accoglienza che lei e i suoi concittadini mi avete riservato in questa splendida isola, come lei l'ha definita "isola della speranza e del futuro". È davvero così.
Lei ha detto che questi venti anni hanno cambiato quest'isola, ne hanno cambiato l'orizzonte. Questo orizzonte è ben raffigurato nel Museo della fiducia e del dialogo, perché sempre più Lampedusa ha accresciuto il suo ruolo di crocevia, di punto d'incontro, di porta d'Europa.
Lei ha anche detto che in quest'isola i suoi abitanti hanno sempre fatto, in questo periodo, in questi anni, tutto ciò che era necessario e giusto fare. Questo è ciò che motiva la mia presenza qui.
Sono qui naturalmente per il Museo, per la sua importanza, perché la cultura unisce i popoli, migliora le relazioni internazionali. La cultura è un punto d'incontro di importanza decisiva. Ma la vera ragione per cui sono venuto a Lampedusa è quella di dire qui, ai lampedusani, che l'Italia è orgogliosa di Lampedusa. Il senso di umanità, il livello di civiltà che quest'isola ha manifestato e continua a manifestare è straordinariamente ammirevole.
L'Italia e l'Europa sono debitori di riconoscenza a Lampedusa per le vite salvate, per l'accoglienza, per la prima assistenza, per l'ospitalità. Lampedusa ha offerto a tante persone che sono approdate qui e che porteranno per sempre con sé il ricordo di questa isola, come segno di salvezza e un po' come loro seconda patria, il volto migliore d'Europa. Per questo Europa e Italia devono gratitudine, riconoscenza a Lampedusa. Per questo Lampedusa è porta dell'Europa.
Poc'anzi siamo andati alla Porta d'Europa, in questo punto più avanzato dell'Europa, ma Lampedusa è insieme porta e base per un ponte tra l'Europa e gli altri continenti. Questo è quanto è stato fatto dai lampedusani in questo periodo e quanto continua ad essere fatto.
Lo splendido film "Fuocoammare" ha dato un'idea - ma soltanto un'idea - efficace, però è molto più forte la realtà rispetto a quello che si può percepire di ciò che a Lampedusa viene fatto per coloro che fuggono da persecuzioni, guerre, carestie, miseria, cercando un futuro migliore. È quello che ciascuno di noi avrebbe fatto nelle loro condizioni. E il comportamento dei lampedusani è stato tale da rappresentare il volto migliore d'Europa.
Questo è avvenuto grazie anche a tanti uomini delle istituzioni che qui operano con fatica, con sacrificio, con dedizione, oltre che con senso del dovere, con un senso etico del loro impegno che consente di salvare tante vite umane, ma tante. Questo è un comportamento che li rende davvero - e dobbiamo loro riconoscerlo - eroi della vita quotidiana.
Grazie a loro abbiamo evitato che il Mediterraneo si trasformasse costantemente in un grande cimitero, come talvolta purtroppo è avvenuto.
Poc'anzi abbiamo visto nel Museo lo splendido Caravaggio dell' "Amorino dormiente", di un bimbo dormiente, che è qui anche per ricordare l'immagine di quel bimbo, Aylan, trovato morto sulle rive di una spiaggia turca. Ma quanti altri, dopo di lui, sono morti nel Mediterraneo? Quanti bimbi arrivano qui da soli? Da ultimo, la bimba di nove mesi che è arrivata senza nessuno, ormai necessariamente italiana. Quante persone sono morte del Mediterraneo, ma quante? La stragrande maggioranza è stata salvata dall'abnegazione dei lampedusani, dei tanti servitori dello Stato.
Tutta Europa, anche in quelle zone in cui oggi si manifesta ogni tanto indifferenza o chiusura, si renderà conto del merito storico che ha avuto Lampedusa e le tante persone che qui hanno operato e operano nei confronti della civiltà europea.
Questo ci porta naturalmente a ricordare le tante vittime morte in mare, i tanti naufragi di cui abbiamo avuto notizia, e di tante altre vittime di cui non vi è neppure la notizia, tante persone morte in mare senza che neppure si sia avuta contezza o notizia del loro annegamento.
Questo chiama, con forza, tutte le nostre coscienze, interpella le coscienze di ciascuno e quelle collettive di tutti i Paesi d'Europa e dell'Unione europea. Anche per questo il nostro governo ha presentato nelle settimane scorse in Europa il migration compact, un piano che deve spingere e impegnare l'intera Europa a destinare risorse per affrontare, governandolo insieme, questo grande fenomeno con senso di umanità, con realismo, con senso di responsabilità, ma tenendo conto della dignità che ha ogni persona.
Soltanto un impegno europeo può affrontare questo problema. Nessuno può pensare di lasciare l'Italia sola, tantomeno Lampedusa sola, ad affrontare drammi di questa entità e di questa frequenza.
Signora Sindaco,
lei ha parlato dei problemi di Lampedusa.
Lampedusa, come tante altre zone del nostro Paese, viene definita spesso 'periferia'. È un termine che andrebbe abolito. Non esistono periferie. Il nostro Paese, come qualunque altro, è fatto da tanti centri, tutti parimenti importanti e decisivi per la storia del nostro Paese come di qualunque altro Paese.
Quelle che vengono dette 'isole minori' o 'zone montane' o 'aree interne' forniscono contributi non soltanto preziosi, ma decisivi per la vita dell'intera Italia. Ma naturalmente comportano impegni maggiori.
Non si può lasciare il contributo che le zone montane, le aree interne, le isole minori forniscono, sulle spalle dei loro abitanti. Occorre garantire loro una condizione di vita che sia uguale a quella dei grandi centri urbani.
Questo naturalmente richiede impegno, richiede una grande determinazione, richiede che non si debba lottare per conquistare una condizione di vita normale.
In questo, Signora Sindaco, Lampedusa ha diritto all'aiuto, e avrà l'aiuto necessario.

martedì 31 maggio 2016

Siciliani esempio di accoglienza. Lo dice anche Lilli Gruber

In un intervista al Giornale di Sicilia del 31 maggio 2016, la nota giornalista italiana parla del "modello" siciliano nell'accoglienza ai migranti (clicca sull'immagine per ingrandirla).

lunedì 16 maggio 2016

In Sicilia continuano a sbarcare minori non accompagnati. Nuovi arrivi a Palermo

Vengono definiti con la sigla MSNA, cioè Minori Stranieri Non Accompagnati, e continuano ad arrivare con i barconi della "speranza", sfidando la morte sul Mediterraneo. Il Giornale di Sicilia ne parla il 15 maggio 2016 (clicca sull'immagine per ingrandirla).

martedì 10 maggio 2016

Lampedusa, il vescovo incontra i migranti: "Bisogna ascoltare il loro grido di dignità"

Il sito di Repubblica Palermo dedica uno dei suoi servizi filmati alla visita del cardinale Montenegro, vescovo di Agrigento, a Lampedusa.
"Da loro parte quel grido che dice che ogni uomo ha la sua dignità e per quella si deve fare di tutto"così si è espresso il Vescovo che l'8 maggio 2016 ha incontrato i migranti che da venerdì 6 maggio dormono davanti alla chiesa principale di Lampedusa. "Vogliamo andare via da qui, nel centro si vive in condizioni disumane", sono le ragioni di una settantina di migranti. "Vedere degli uomini che reclamano il loro diritto alla vita, fa interrogare", dice Montenegro.
(fonte http://video.repubblica.it/edizione/palermo, servizio di giorgio ruta e mauro buccarello)
Per vedere il servizio CLICCA QUI

lunedì 9 maggio 2016

Il primo soccorso

Da Lampedusa ancora storie di attenzione e accoglienza a chi ha bisogno di soccorso e cure dopo aver rischiato la vita in mare.

"Europa mia non ti riconosco", a Lampedusa con don Mimmo Zammuto

La testimonianza di un sacerdote della diocesi di Agrigento a proposito di immigrazione e di accoglienza da... Lampedusa in poi.

sabato 7 maggio 2016

Il Papa all'Unione europea: siate accoglienti

In occasione del conferimento a Papa Francesco del Premio Carlo Magno da parte dei vertici dell'Unione Europea, il pontefice ha indirizzato ai presenti un discorso che riportiamo qui sotto e nel quale vengono richiamati temi e istanze su cui anche il popolo siciliano è impegnato da molti anni.

Illustri Ospiti,
vi porgo il mio cordiale benvenuto e vi ringrazio per la vostra presenza. Sono grato in particolare ai Signori Marcel Philipp, Jürgen Linden, Martin Schulz, Jean-Claude Juncker e Donald Tusk per le loro cortesi parole. Desidero ribadire la mia intenzione di offrire il prestigioso Premio, di cui vengo onorato, per l’Europa: non compiamo infatti un gesto celebrativo; cogliamo piuttosto l’occasione per auspicare insieme uno slancio nuovo e coraggioso per questo amato Continente.
La creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsi e di uscire dai propri limiti appartengono all’anima dell’Europa. Nel secolo scorso, essa ha testimoniato all’umanità che un nuovo inizio era possibile: dopo anni di tragici scontri, culminati nella guerra più terribile che si ricordi, è sorta, con la grazia di Dio, una novità senza precedenti nella storia. Le ceneri delle macerie non poterono estinguere la speranza e la ricerca dell’altro, che arsero nel cuore dei Padri fondatori del progetto europeo. Essi gettarono le fondamenta di un baluardo di pace, di un edificio costruito da Stati che non si sono uniti per imposizione, ma per la libera scelta del bene comune, rinunciando per sempre a fronteggiarsi. L’Europa, dopo tante divisioni, ritrovò finalmente sé stessa e iniziò a edificare la sua casa.
Questa «famiglia di popoli»[1], lodevolmente diventata nel frattempo più ampia, in tempi recenti sembra sentire meno proprie le mura della casa comune, talvolta innalzate scostandosi dall’illuminato progetto architettato dai Padri. Quell’atmosfera di novità, quell’ardente desiderio di costruire l’unità paiono sempre più spenti; noi figli di quel sogno siamo tentati di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari. Tuttavia, sono convinto che la rassegnazione e la stanchezza non appartengono all’anima dell’Europa e che anche «le difficoltà possono diventare promotrici potenti di unità»[2].
Nel Parlamento europeo mi sono permesso di parlare di Europa nonna. Dicevo agli Eurodeputati che da diverse parti cresceva l’impressione generale di un’Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale, dove i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva; un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice. Un’Europa tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione; un’Europa che si va “trincerando” invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società; dinamismi capaci di coinvolgere e mettere in movimento tutti gli attori sociali (gruppi e persone) nella ricerca di nuove soluzioni ai problemi attuali, che portino frutto in importanti avvenimenti storici; un’Europa che lungi dal proteggere spazi si renda madre generatrice di processi (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 223).
Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?
Lo scrittore Elie Wiesel, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, diceva che oggi è capitale realizzare una “trasfusione di memoria”. E’ necessario “fare memoria”, prendere un po’ di distanza dal presente per ascoltare la voce dei nostri antenati. La memoria non solo ci permetterà di non commettere gli stessi errori del passato (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 108), ma ci darà accesso a quelle acquisizioni che hanno aiutato i nostri popoli ad attraversare positivamente gli incroci storici che andavano incontrando. La trasfusione della memoria ci libera da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero produrre «una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana» (ibid., 224).
A tal fine ci farà bene evocare i Padri fondatori dell’Europa. Essi seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Essi ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione. Osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni.
Robert Schuman, in quello che molti riconoscono come l’atto di nascita della prima comunità europea, disse: «L’Europa non si farà in un colpo solo, né attraverso una costruzione d’insieme; essa si farà attraverso realizzazioni concrete, creanti anzitutto una solidarietà di fatto»[3]. Proprio ora, in questo nostro mondo dilaniato e ferito, occorre ritornare a quella solidarietà di fatto, alla stessa generosità concreta che seguì il secondo conflitto mondiale, perché – proseguiva Schuman – «la pace mondiale non potrà essere salvaguardata senza sforzi creatori che siano all’altezza dei pericoli che la minacciano»[4]. I progetti dei Padri fondatori, araldi della pace e profeti dell’avvenire, non sono superati: ispirano, oggi più che mai, a costruire ponti e abbattere muri. Sembrano esprimere un accorato invito a non accontentarsi di ritocchi cosmetici o di compromessi tortuosi per correggere qualche trattato, ma a porre coraggiosamente basi nuove, fortemente radicate;  come affermava Alcide De Gasperi, «tutti egualmente animati dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa», ricominciare, senza paura un «lavoro costruttivo che esige tutti i nostri sforzi di paziente e lunga cooperazione»[5].
Questa trasfusione della memoria ci permette di ispirarci al passato per affrontare con coraggio il complesso quadro multipolare dei nostri giorni, accettando con determinazione la sfida di “aggiornare” l’idea di Europa. Un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare.
Capacità di integrare
Erich Przywara, nella sua magnifica opera L’idea di Europa, ci sfida a pensare la città come un luogo di convivenza tra varie istanze e livelli. Egli conosceva quella tendenza riduzionistica che abita in ogni tentativo di pensare e sognare il tessuto sociale. La bellezza radicata in molte delle nostre città si deve al fatto che sono riuscite a conservare nel tempo le differenze di epoche, di nazioni, di stili, di visioni. Basta guardare l’inestimabile patrimonio culturale di Roma per confermare ancora una volta che la ricchezza e il valore di un popolo si radica proprio nel saper articolare tutti questi livelli in una sana convivenza. I riduzionismi e tutti gli intenti uniformanti, lungi dal generare valore, condannano i nostri popoli a una crudele povertà: quella dell’esclusione. E lungi dall’apportare grandezza, ricchezza e bellezza, l’esclusione provoca viltà, ristrettezza e brutalità. Lungi dal dare nobiltà allo spirito, gli apporta meschinità.
Le radici dei nostri popoli, le radici dell’Europa si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale.
L’attività politica sa di avere tra le mani questo lavoro fondamentale e non rinviabile. Sappiamo che «il tutto è più delle parti, e anche della loro semplice somma», per cui si dovrà sempre lavorare per «allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 235). Siamo invitati a promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le cose, il modo in cui costruire la storia. Una solidarietà che non può mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità perché tutti gli abitanti delle nostre città – e di tante altre città – possano sviluppare la loro vita con dignità. Il tempo ci sta insegnando che non basta il solo inserimento geografico delle persone, ma la sfida è una forte integrazione culturale.
In questo modo la comunità dei popoli europei potrà vincere la tentazione di ripiegarsi su paradigmi unilaterali e di avventurarsi in “colonizzazioni ideologiche”; riscoprirà piuttosto l’ampiezza dell’anima europea, nata dall’incontro di civiltà e popoli, più vasta degli attuali confini dell’Unione e chiamata a diventare modello di nuove sintesi e di dialogo. Il volto dell’Europa non si distingue infatti nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure. Senza questa capacità di integrazione le parole pronunciate da Konrad Adenauer nel passato risuoneranno oggi come profezia di futuro: «Il futuro dell’Occidente non è tanto minacciato dalla tensione politica, quanto dal pericolo della massificazione, della uniformità del pensiero e del sentimento; in breve, da tutto il sistema di vita, dalla fuga dalla responsabilità, con l’unica preoccupazione per il proprio io»[6].
Capacità di dialogo
Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa: dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale. La cultura del dialogo implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato. E’ urgente per noi oggi coinvolgere tutti gli attori sociali nel promuovere «una cultura che privilegi il dialogo come forma di incontro», portando avanti «la ricerca di consenso e di accordi, senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 239). La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. In tal modo potremo lasciare loro in eredità una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione.
Questa cultura del dialogo, che dovrebbe essere inserita in tutti i curriculi scolastici come asse trasversale delle discipline, aiuterà ad inculcare nelle giovani generazioni un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui li stiamo abituando. Oggi ci urge poter realizzare “coalizioni” non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose. Coalizioni che mettano in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici. Coalizioni capaci di difendere il popolo dall’essere utilizzato per fini impropri. Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro.
Capacità di generare
Il dialogo e tutto ciò che esso comporta ci ricorda che nessuno può limitarsi ad essere spettatore né mero osservatore. Tutti, dal più piccolo al più grande, sono parte attiva nella costruzione di una società integrata e riconciliata. Questa cultura è possibile se tutti partecipiamo alla sua elaborazione e costruzione. La situazione attuale non ammette meri osservatori di lotte altrui. Al contrario, è un forte appello alla responsabilità personale e sociale.
In questo senso i nostri giovani hanno un ruolo preponderante. Essi non sono il futuro dei nostri popoli, sono il presente; sono quelli che già oggi con i loro sogni, con la loro vita stanno forgiando lo spirito europeo. Non possiamo pensare il domani senza offrire loro una reale partecipazione come agenti di cambiamento e di trasformazione. Non possiamo immaginare l’Europa senza renderli partecipi e protagonisti di questo sogno.
Ultimamente ho riflettuto su questo aspetto e mi sono chiesto: come possiamo fare partecipi i nostri giovani di questa costruzione quando li priviamo di lavoro; di lavori degni che permettano loro di svilupparsi per mezzo delle loro mani, della loro intelligenza e delle loro energie? Come pretendiamo di riconoscere ad essi il valore di protagonisti, quando gli indici di disoccupazione e sottoccupazione di milioni di giovani europei sono in aumento? Come evitare di perdere i nostri giovani, che finiscono per andarsene altrove in cerca di ideali e senso di appartenenza perché qui, nella loro terra, non sappiamo offrire loro opportunità e valori?
«La giusta distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è mera filantropia. E’ un dovere morale».[7] Se vogliamo pensare le nostre società in un modo diverso, abbiamo bisogno di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato, specialmente per i nostri giovani.
Ciò richiede la ricerca di nuovi modelli economici più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società. E questo ci chiede il passaggio da un’economia liquida a un’economia sociale. Penso ad esempio all’economia sociale di mercato, incoraggiata anche dai miei Predecessori (cfr Giovanni Paolo II, Discorso all’Ambasciatore della R.F. di Germania, 8 novembre 1990). Passare da un’economia che punta al reddito e al profitto in base alla speculazione e al prestito a interesse ad un’economia sociale che investa sulle persone creando posti di lavoro e qualificazione.
Dobbiamo passare da un’economia liquida, che tende a favorire la corruzione come mezzo per ottenere profitti, a un’economia sociale che garantisce l’accesso alla terra, al tetto per mezzo del lavoro come ambito in cui le persone e le comunità possano mettere in gioco «molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione. Perciò la realtà sociale del mondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalità economica, esige che “si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro […] per tutti”[8]» (Enc. Laudato si’, 127).
Se vogliamo mirare a un futuro che sia dignitoso, se vogliamo un futuro di pace per le nostre società, potremo raggiungerlo solamente puntando sulla vera inclusione: «quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale».[9]Questo passaggio (da un’economia liquida a un’economia sociale) non solo darà nuove prospettive e opportunità concrete di integrazione e inclusione, ma ci aprirà nuovamente la capacità di sognare quell’umanesimo, di cui l’Europa è stata culla e sorgente.
Alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deve contribuire la Chiesa. Il suo compito coincide con la sua missione: l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante. Dio desidera abitare tra gli uomini, ma può farlo solo attraverso uomini e donne che, come i grandi evangelizzatori del continente, siano toccati da Lui e vivano il Vangelo, senza cercare altro. Solo una Chiesa ricca di testimoni potrà ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa. In questo, il cammino dei cristiani verso la piena unità è un grande segno dei tempi, ma anche l’esigenza urgente di rispondere all’appello del Signore «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).
Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, «un costante cammino di umanizzazione», cui servono «memoria, coraggio, sana e umana utopia»[10]. Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia. Grazie.
(fonte vatican.va)

Il falegname di Lampedusa e le croci dei migranti

Francesco Tuccio è il falegname che a Lampedusa ha pensato di creare croci con il legno delle carrette del mare che trasportano i migranti nel Mediterraneo.

venerdì 6 maggio 2016

mercoledì 13 aprile 2016

Immigrati senza un tetto, come si muove la solidarietà siciliana

Il quotidiano Repubblica Palermo del 13 aprile 2016 racconta la catena di solidarietà che si sta organizzando per le centinaia di immigrati che non hanno un tetto (clicca sull'articolo per ingrandirlo).

mercoledì 30 marzo 2016

Dal Centro Pedro Arrupe i dati 2015 sull'immigrazione in Sicilia

Il Centro Arrupe di Palermo ha presentato il proprio Report 2015 sull'immigrazione in Sicilia. Ecco come il Giornale di Sicilia del 30 marzo 2016 sintetizza quanto emerge dal documento (clicca sull'immagine per ingrandirla).

venerdì 25 marzo 2016

Renzi sull'accoglienza di Lampedusa

"Da Lampedusa arrivi un messaggio all'Europa: questa non e' una lontana periferia, e' uno splendido luogo che ha salvato migliaia di vite e che va raccontato per quello che e', un luogo di straordinaria bellezza. Il Governo e' qui per le cose da fare". Lo ha detto il premier Matteo Renzi, nel corso di una conferenza stampa il 25 marzo 2016 a Lampedusa dopo l'incontro con il sindaco dell'isola, Giusi Nicolini.